Ripenso al film di cui Icke mi sta parlando. Non l’ho mai visto ma ne ho un vago ricordo. Mi sforzo, cerco di recuperare un’informazione che pulsa in fondo a qualche sinapsi senza riuscire a urlare alla mia coscienza la sua presenza. E’ un eco lontano, l’intuizione di sapere ma non ricordare.
Poi arriva. Involontaria maieutica e ricordo dove avevo sentito di quel film, quel titolo, quella sconosciuta storia.
E alla memoria mi torna il volto di mio nonno. Lo ricordo alto, magro e ciondolante sulle gambe esili e deboli della vecchiaia. Jacopus si chiamava. Lo chiamavano Jacopus B., ma nessuno ha mai saputo cosa significasse quella B.
Davanti agli occhi il ricordo scorre, fotogrammi senza trama di un frammento distorto di memoria. Eravamo seduti su una panchina in un parco deserto, poche dune di sabbia ondeggiavano al vento. La sua voce cavernosa, devastata dallo smog, ripesava alla sua giovinezza: preistoria di un mondo per me solo sognato, reale favola.
Mi parlava dei suoi genitori, severi e duri come lamine di metallo tagliente. E la tv, qualunque cosa fosse la tv a due dimensioni e bisensoriale. Di un film, di una serie di puntuate, di una donna, di un cadavere, di infiniti colpevoli, di nessun colpevole. Di un film che il nonno non riuscì mai a vedere per il divieto, il veto dei suoi genitori. Un film mai visto che restò impresso nella sua memoria di uomo come indelebile vuoto, buco profondo, foro di un proiettile mai sparato, rettile sibilante silenzio.
Fu tanto tempo fa e neppure io vidi mai quel film. Quel film che pare tornare maligno nelle trame biografiche della mia famiglia.
(Logos)
aprile 19, 2008
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